Berlusconi è volato in Russia dall'amico Putin. Con lui anche l'Ad di Eni Scaroni. Sul tavolo il futuro dell'energia in Europa...
I gasdotti sono una mia vecchia passione, me li studio ormai da qualche anno. Specialmente da quando, finito uno stage al Cnr, ho iniziato a scrivere per Pagine di Difesa.
Oggi Berlusconi è in Russia, dall'amico Putin, proprio per parlare di gasdotti. Uno in particolare: il South Stream. Si tratta del "braccio sud" della tenaglia energetica che la Russia, ormai da qualche anno, ha intenzione di realizzare per cingere la ricca Europa in un abbraccio energetico molto poco affettuoso.
Ricapitolare tutta la storia del South Stream è complesso e richiederebbe troppo tempo. Mi permetto, e spero mi perdonerete, di riproporvi un pezzo vecchio (ma non troppo) che scrissi un anno e mezzo fa per Pagine di Difesa.
In linea di massima è tutto ancora a quel punto, a parte qualche accordo nei balcani.
Prima di lasciarvi al South stream, però, vi voglio ricordare velocemente che l'Europa sogna un gasdotto diverso: il Nabucco, studiato proprio per scappare dalla Russia. I dettagli sul Nabucco li trovate a questo link, purtroppo un po' vecchiotto...
Per il South Stream, invece, continuate a leggere.
La rete dei gasdotti europei, davanti e dietro le quinte
Pagine di Difesa, Giuseppe Croce, 22 gennaio 2008
Pagine di Difesa, Giuseppe Croce, 22 gennaio 2008
Sofia, 18 gennaio 2008: accordo tra la Bulgaria e il colosso del gas russo Gazprom sul passaggio della pipeline South Stream dal territorio Bulgaro. I dettagli dell’accordo prevedono una comproprietà paritaria al 50% tra Russia e Bulgaria sul tratto bulgaro del gasdotto e un aumento della quantità di gas disponibile per i bulgari dai 17 miliardi di metri cubi attuali ai futuri 30 miliardi.
Con quest’accordo, strappato da Putin in persona nel corso della sua visita ufficiale a Sofia, si delinea maggiormente la strategia di Gazprom per le future forniture di gas all’Europa centro meridionale. Il progetto South Stream, infatti, prevede un tragitto di circa 900 km con partenza da Beregovaya (città russa sulla costa del Mar Nero) e arrivo in Italia. Un progetto, come molti dei piani di Gazprom, faraonico e dai risvolti tecnici estremamente impegnativi considerando che i tubi saranno posati sul fondo del Mar Nero a profondità che raggiungono i duemila metri.
La cosa assai interessante dell’accordo è che la rotta del gasdotto non è stata ancora definita e vi sono due opzioni percorribili: la prima, quella sud, prevede il passaggio da Grecia e Albania con arrivo a Otranto tramite il gasdotto Igi; la seconda, la rotta nord, prefigura un passaggio da Romania (o, in alternativa, Serbia), Ungheria, Austria e arrivo in nord Italia (probabilmente Tarvisio). In entrambi i casi, comunque, la Bulgaria si rivela punto di passaggio obbligatorio, cosa che rende l’accordo del 18 gennaio fondamentale per dare inizio agli studi di fattibilità. Il gasdotto, qualunque sia il suo percorso finale, verrà realizzato dalla joint venture paritetica di diritto svizzero Eni-Gazprom Ag formalizzata appena 24 ore prima dell’accordo bulgaro. Nel progetto, quindi, l’Eni parteciperà da protagonista tramite l’ormai consolidato e riconosciuto know how di Saipem.
Se gli aspetti industriali del progetto sono estremamente interessanti (si parla di almeno dieci miliardi di euro di investimento per una rotta quasi completamente nuova), gli aspetti geopolitici dell’affare lo sono ancora di più. Il South Stream, infatti, non sarà solo: ad esso verranno affiancati il Nord Stream (ancora da costruire), il Blue Stream (già inaugurato) e il progettato raddoppio della Yamal-Europe pipeline.
Si va delineando, quindi, una mappa densissima di collegamenti tra Russia ed Europa che, già a guardarla, tradisce due obbiettivi di fondo evidenti: il primo è scavalcare totalmente l’Ucraina, ormai considerata un paese ex amico dai russi; il secondo è diversificare le possibilità di entrata in Europa per il gas russo, offrendo contemporaneamente un valido motivo per fare affari con Mosca e un altrettanto valido motivo per non farne con i Paesi produttori dell’Asia centrale.
Del South Stream abbiamo già parlato. Per quanto riguarda il Nord Stream ricordiamo che si tratta di un mega gasdotto dedicato al Nord Europa, Germania in particolare (primo mercato estero per Gazprom e con prospettive di sviluppo notevolissime in seguito alla decisione da parte di Berlino di rinunciare al nucleare civile per la produzione di energia elettrica), ma anche ai Paesi Baltici e Gran Bretagna che avranno delle bretelle sottomarine dedicate.
I dati parlano di due tubature (prima ne verrà costruita una, da raddoppiare in un secondo tempo) da 1.220 mm di diametro per una portata annua di 27,5 milioni di metri cubi di gas (per la sola prima tubatura, 55 milioni ad opera ultimata). Tra il tratto onshore russo e quello offshore sul fondo del Baltico verranno stesi quasi duemila km di tubi.
Il Nord Stream, però, ultimamente soffre di qualche problema: è ormai un dato assodato che i costi, inizialmente calcolati in cinque miliardi di euro, lieviteranno notevolmente. Ciò allontana di qualche anno l’entrata in funzione dell’infrastruttura perché costringe le società partecipanti al progetto (le tedesche Basf e E.On e Gazprom) a rivedere tutta la struttura finanziaria dell’opera.
I tedeschi, però, sono dei clienti importantissimi per Mosca e farseli scappare sarebbe un vero e proprio suicidio economico. Ragionevolissima, per questo, la domanda posta da un giornalista bulgaro all’amministratore delegato di Gazprom Alexei Miller durante la conferenza stampa di presentazione dell’accordo russo-bulgaro: il giornalista ha chiesto se era nei piani di Gazprom un raccordo tra il Nord Stream e il South Stream.
Miller ha risposto che i due progetti sono attualmente separati ma la rete europea già esistente di gasdotti rende tecnicamente possibili interscambi tra diversi Stati consumatori.
Qualora la rotta del South Stream dovesse terminare in Austria, è probabile quindi che venga fatto un allacciamento con la Germania come compensazione per i ritardi subiti dall’altro gasdotto.
Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che l’ex premier tedesco Gerhard Schröder è stato scelto per guidare (e sorvegliare) la “Nordeuropäische Gas Pipeline Gesellschaft”, che altro non è che la società che realizzerà il gasdotto, e ciò la dice lunga su quanto i tedeschi vogliano (e cercheranno in tutti i modi possibili di averla) l’infrastruttura in questione.
Per quanto riguarda il Blue Stream, invece, ne abbiamo già parlato su queste pagine (Vds. Trasformare l’Italia nello snodo energetico dell’Europa) e va solo ricordato che si tratta di un gasdotto di dimensioni e portata inferiori (sebbene di tutto rispetto) agli altri due progetti.
Si tratta di un gasdotto prettamente sud europeo destinato all’Italia con cui, in buona sostanza, Gazprom ha messo alla prova le capacità tecniche di Eni e Saipem. Il progetto è andato in porto e ora le due società italiana e russa vanno sempre più a braccetto.
Con la Yamal-europe pipeline, invece, si torna al centro-nord Europa: dalla Russia percorre quasi 4.200 km attraverso Bielorussia e Polonia per arrivare in Germania. A differenza del Nord Stream, quindi, non è un gasdotto dedicato espressamente al mercato tedesco e nord europeo e le forniture vanno divise con i Paesi di passaggio.
Nello specifico la pipeline già esiste e funziona da anni ma è in corso il raddoppio. Dicevamo che i futuri gasdotti targati Gazprom (e per, per la parte tecnica, Eni) mirano a scavalcare l’Ucraina e a far pressione sui Paesi produttori di gas dell’Asia centrale. Vediamo come.
L’Ucraina, un tempo tratto fondamentale del ‘Gasdotto della fratellanza’ sovietico, come tutti ricorderanno si è ‘macchiata’ del peccato di aver creato problemi alle forniture russe all’Europa occidentale sifonando indebitamente e ripetutamente il gas diretto a ovest.
Un’onta da lavare immediatamente per Gazprom che della sicurezza nelle forniture ha fatto la sua bandiera e la base di ogni trattativa con gli europei. Ad oggi l’Ucraina ha un’arma con cui ricattare la Russia: bloccare le due tubature che portano il gas russo in Europa.
Il giorno in cui i nuovi mega gasdotti entreranno in funzione l’Ucraina sentirà la campana a morto e dovrà ridimensionare notevolmente il suo atteggiamento di parziale sfida nei confronti di Gazprom.
Per quanto riguarda gli altri Paesi produttori, quelli dell’area caucasica e caspica, la situazione è più complessa.
Si tratta, assai spesso, di Stati ex sovietici che a più di 15 anni dalla caduta dell’Urss non hanno ancora deciso da che parte stare. La proposta russa è chiarissima: Gazprom compra a prezzo contenuto il loro gas e lo veicola sui propri gasdotti.
Una soluzione che riduce drasticamente i ricavi per i produttori ma, allo stesso tempo, mette a disposizione la possibilità di vendere gas senza spendere un centesimo in gasdotti e, trattandosi di infrastrutture russe, offre una ragionevole soglia di sicurezza e di protezione da ritorsioni geopolitiche e attacchi terroristici.
Attaccare interessi russi è una cosa, attaccare interessi Kazaki o Turkmeni è ben altro.
La scelta è resa assai difficile dal fatto che gli Stati Uniti, sin dal crollo dell’Urss, si sono dati a una politica del tutto simile nell’area in questione e offrono più o meno le stesse cose dei russi. Accontentare entrambi, ovviamente, è impossibile mentre fare da soli è fruttuoso ma rischioso.
Un esempio lampante di questa situazione lo offre il mega giacimento kazako di Kashagan che, in teoria, è una miniera d’oro ma, in pratica, si sta rivelando un vero e proprio tormento per tutti gli attori coinvolti nello sfruttamento. Eni in primis.
La storia industriale post sovietica di Kashagan inizia nel 1993 quando Eni, British Gas, British Petroleum, Mobil, Shell e Total formano il consorzio di esplorazione insieme al governo kazako. A fare le perforazioni ci pensa Shell e trova la gallina dalle uova d’oro.
I lavori, però, vanno a rilento a causa di problemi tecnici che rendono difficile l’esplorazione, motivo per cui nel 2001 la leadership del consorzio passa ad Eni.
Nel frattempo i costi dell’operazione lievitano enormemente e il ministero delle Risorse energetiche di Astana si comincia a innervosire perché ha fretta di mettere in produzione il giacimento (i kazaki, in pratica, campano di solo export energetico) e comincia a mettere i bastoni tra le ruote al consorzio adducendo motivi ambientali per ottenere, in realtà, una partecipazione (e ricavi correlati) maggiore nel consorzio stesso.
Dopo infiniti botta e risposta tra Astana e San Donato Milanese la situazione si sblocca solo il 14 gennaio di quest’anno con una pesante rinegoziazione dell’accordo del ’93: secondo i nuovi patti il governo kazako raddoppia la propria quota nel consorzio (e pagherà circa 1.8 miliardi di dollari per farlo) ma ottiene un rimborso per il tempo perduto pari a quasi cinque miliardi.
Come se ciò non bastasse a partire dal 2011 l’Eni perderà la leadership del consorzio condividendola con Exon-Mobil, Shell e Total. Tutto ciò pur di mettere in produzione il giacimento; per trasportare il gas ci vorranno altri accordi.
Il gas kazako, infatti, dovrebbe viaggiare verso l’Europa tramite il gasdotto Nabucco, attraversando Turchia e Balcani. Se non fosse che tale gasdotto è un progetto sponsorizzato dalla Ue che, come già ricordato da varie firme su queste pagine, ha negli ultimi anni una politica energetica distante da quella dei suoi Stati membri.
E, se non si fa il Nabucco (alternativo ai gasdotti russi), proprio dai gasdotti russi il gas di Kashagan dovrà passare. Poco importa che gli Stati Uniti si siano dichiarati interessati a un programma energetico europeo alternativo ai singoli programmi dei singoli Stati nazionali (con l’Europa gli Usa, tramite Nato, sono ben abituati a ‘trattare’): se l’Ue non si dà una mossa, e in tempi brevi, l’unica prospettiva credibile per garantire la sicurezza energetica sarà quella di affidarsi (in toto e definitivamente) ai vari Stream di Gazprom.
Con quest’accordo, strappato da Putin in persona nel corso della sua visita ufficiale a Sofia, si delinea maggiormente la strategia di Gazprom per le future forniture di gas all’Europa centro meridionale. Il progetto South Stream, infatti, prevede un tragitto di circa 900 km con partenza da Beregovaya (città russa sulla costa del Mar Nero) e arrivo in Italia. Un progetto, come molti dei piani di Gazprom, faraonico e dai risvolti tecnici estremamente impegnativi considerando che i tubi saranno posati sul fondo del Mar Nero a profondità che raggiungono i duemila metri.
La cosa assai interessante dell’accordo è che la rotta del gasdotto non è stata ancora definita e vi sono due opzioni percorribili: la prima, quella sud, prevede il passaggio da Grecia e Albania con arrivo a Otranto tramite il gasdotto Igi; la seconda, la rotta nord, prefigura un passaggio da Romania (o, in alternativa, Serbia), Ungheria, Austria e arrivo in nord Italia (probabilmente Tarvisio). In entrambi i casi, comunque, la Bulgaria si rivela punto di passaggio obbligatorio, cosa che rende l’accordo del 18 gennaio fondamentale per dare inizio agli studi di fattibilità. Il gasdotto, qualunque sia il suo percorso finale, verrà realizzato dalla joint venture paritetica di diritto svizzero Eni-Gazprom Ag formalizzata appena 24 ore prima dell’accordo bulgaro. Nel progetto, quindi, l’Eni parteciperà da protagonista tramite l’ormai consolidato e riconosciuto know how di Saipem.
Se gli aspetti industriali del progetto sono estremamente interessanti (si parla di almeno dieci miliardi di euro di investimento per una rotta quasi completamente nuova), gli aspetti geopolitici dell’affare lo sono ancora di più. Il South Stream, infatti, non sarà solo: ad esso verranno affiancati il Nord Stream (ancora da costruire), il Blue Stream (già inaugurato) e il progettato raddoppio della Yamal-Europe pipeline.
Si va delineando, quindi, una mappa densissima di collegamenti tra Russia ed Europa che, già a guardarla, tradisce due obbiettivi di fondo evidenti: il primo è scavalcare totalmente l’Ucraina, ormai considerata un paese ex amico dai russi; il secondo è diversificare le possibilità di entrata in Europa per il gas russo, offrendo contemporaneamente un valido motivo per fare affari con Mosca e un altrettanto valido motivo per non farne con i Paesi produttori dell’Asia centrale.
Del South Stream abbiamo già parlato. Per quanto riguarda il Nord Stream ricordiamo che si tratta di un mega gasdotto dedicato al Nord Europa, Germania in particolare (primo mercato estero per Gazprom e con prospettive di sviluppo notevolissime in seguito alla decisione da parte di Berlino di rinunciare al nucleare civile per la produzione di energia elettrica), ma anche ai Paesi Baltici e Gran Bretagna che avranno delle bretelle sottomarine dedicate.
I dati parlano di due tubature (prima ne verrà costruita una, da raddoppiare in un secondo tempo) da 1.220 mm di diametro per una portata annua di 27,5 milioni di metri cubi di gas (per la sola prima tubatura, 55 milioni ad opera ultimata). Tra il tratto onshore russo e quello offshore sul fondo del Baltico verranno stesi quasi duemila km di tubi.
Il Nord Stream, però, ultimamente soffre di qualche problema: è ormai un dato assodato che i costi, inizialmente calcolati in cinque miliardi di euro, lieviteranno notevolmente. Ciò allontana di qualche anno l’entrata in funzione dell’infrastruttura perché costringe le società partecipanti al progetto (le tedesche Basf e E.On e Gazprom) a rivedere tutta la struttura finanziaria dell’opera.
I tedeschi, però, sono dei clienti importantissimi per Mosca e farseli scappare sarebbe un vero e proprio suicidio economico. Ragionevolissima, per questo, la domanda posta da un giornalista bulgaro all’amministratore delegato di Gazprom Alexei Miller durante la conferenza stampa di presentazione dell’accordo russo-bulgaro: il giornalista ha chiesto se era nei piani di Gazprom un raccordo tra il Nord Stream e il South Stream.
Miller ha risposto che i due progetti sono attualmente separati ma la rete europea già esistente di gasdotti rende tecnicamente possibili interscambi tra diversi Stati consumatori.
Qualora la rotta del South Stream dovesse terminare in Austria, è probabile quindi che venga fatto un allacciamento con la Germania come compensazione per i ritardi subiti dall’altro gasdotto.
Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che l’ex premier tedesco Gerhard Schröder è stato scelto per guidare (e sorvegliare) la “Nordeuropäische Gas Pipeline Gesellschaft”, che altro non è che la società che realizzerà il gasdotto, e ciò la dice lunga su quanto i tedeschi vogliano (e cercheranno in tutti i modi possibili di averla) l’infrastruttura in questione.
Per quanto riguarda il Blue Stream, invece, ne abbiamo già parlato su queste pagine (Vds. Trasformare l’Italia nello snodo energetico dell’Europa) e va solo ricordato che si tratta di un gasdotto di dimensioni e portata inferiori (sebbene di tutto rispetto) agli altri due progetti.
Si tratta di un gasdotto prettamente sud europeo destinato all’Italia con cui, in buona sostanza, Gazprom ha messo alla prova le capacità tecniche di Eni e Saipem. Il progetto è andato in porto e ora le due società italiana e russa vanno sempre più a braccetto.
Con la Yamal-europe pipeline, invece, si torna al centro-nord Europa: dalla Russia percorre quasi 4.200 km attraverso Bielorussia e Polonia per arrivare in Germania. A differenza del Nord Stream, quindi, non è un gasdotto dedicato espressamente al mercato tedesco e nord europeo e le forniture vanno divise con i Paesi di passaggio.
Nello specifico la pipeline già esiste e funziona da anni ma è in corso il raddoppio. Dicevamo che i futuri gasdotti targati Gazprom (e per, per la parte tecnica, Eni) mirano a scavalcare l’Ucraina e a far pressione sui Paesi produttori di gas dell’Asia centrale. Vediamo come.
L’Ucraina, un tempo tratto fondamentale del ‘Gasdotto della fratellanza’ sovietico, come tutti ricorderanno si è ‘macchiata’ del peccato di aver creato problemi alle forniture russe all’Europa occidentale sifonando indebitamente e ripetutamente il gas diretto a ovest.
Un’onta da lavare immediatamente per Gazprom che della sicurezza nelle forniture ha fatto la sua bandiera e la base di ogni trattativa con gli europei. Ad oggi l’Ucraina ha un’arma con cui ricattare la Russia: bloccare le due tubature che portano il gas russo in Europa.
Il giorno in cui i nuovi mega gasdotti entreranno in funzione l’Ucraina sentirà la campana a morto e dovrà ridimensionare notevolmente il suo atteggiamento di parziale sfida nei confronti di Gazprom.
Per quanto riguarda gli altri Paesi produttori, quelli dell’area caucasica e caspica, la situazione è più complessa.
Si tratta, assai spesso, di Stati ex sovietici che a più di 15 anni dalla caduta dell’Urss non hanno ancora deciso da che parte stare. La proposta russa è chiarissima: Gazprom compra a prezzo contenuto il loro gas e lo veicola sui propri gasdotti.
Una soluzione che riduce drasticamente i ricavi per i produttori ma, allo stesso tempo, mette a disposizione la possibilità di vendere gas senza spendere un centesimo in gasdotti e, trattandosi di infrastrutture russe, offre una ragionevole soglia di sicurezza e di protezione da ritorsioni geopolitiche e attacchi terroristici.
Attaccare interessi russi è una cosa, attaccare interessi Kazaki o Turkmeni è ben altro.
La scelta è resa assai difficile dal fatto che gli Stati Uniti, sin dal crollo dell’Urss, si sono dati a una politica del tutto simile nell’area in questione e offrono più o meno le stesse cose dei russi. Accontentare entrambi, ovviamente, è impossibile mentre fare da soli è fruttuoso ma rischioso.
Un esempio lampante di questa situazione lo offre il mega giacimento kazako di Kashagan che, in teoria, è una miniera d’oro ma, in pratica, si sta rivelando un vero e proprio tormento per tutti gli attori coinvolti nello sfruttamento. Eni in primis.
La storia industriale post sovietica di Kashagan inizia nel 1993 quando Eni, British Gas, British Petroleum, Mobil, Shell e Total formano il consorzio di esplorazione insieme al governo kazako. A fare le perforazioni ci pensa Shell e trova la gallina dalle uova d’oro.
I lavori, però, vanno a rilento a causa di problemi tecnici che rendono difficile l’esplorazione, motivo per cui nel 2001 la leadership del consorzio passa ad Eni.
Nel frattempo i costi dell’operazione lievitano enormemente e il ministero delle Risorse energetiche di Astana si comincia a innervosire perché ha fretta di mettere in produzione il giacimento (i kazaki, in pratica, campano di solo export energetico) e comincia a mettere i bastoni tra le ruote al consorzio adducendo motivi ambientali per ottenere, in realtà, una partecipazione (e ricavi correlati) maggiore nel consorzio stesso.
Dopo infiniti botta e risposta tra Astana e San Donato Milanese la situazione si sblocca solo il 14 gennaio di quest’anno con una pesante rinegoziazione dell’accordo del ’93: secondo i nuovi patti il governo kazako raddoppia la propria quota nel consorzio (e pagherà circa 1.8 miliardi di dollari per farlo) ma ottiene un rimborso per il tempo perduto pari a quasi cinque miliardi.
Come se ciò non bastasse a partire dal 2011 l’Eni perderà la leadership del consorzio condividendola con Exon-Mobil, Shell e Total. Tutto ciò pur di mettere in produzione il giacimento; per trasportare il gas ci vorranno altri accordi.
Il gas kazako, infatti, dovrebbe viaggiare verso l’Europa tramite il gasdotto Nabucco, attraversando Turchia e Balcani. Se non fosse che tale gasdotto è un progetto sponsorizzato dalla Ue che, come già ricordato da varie firme su queste pagine, ha negli ultimi anni una politica energetica distante da quella dei suoi Stati membri.
E, se non si fa il Nabucco (alternativo ai gasdotti russi), proprio dai gasdotti russi il gas di Kashagan dovrà passare. Poco importa che gli Stati Uniti si siano dichiarati interessati a un programma energetico europeo alternativo ai singoli programmi dei singoli Stati nazionali (con l’Europa gli Usa, tramite Nato, sono ben abituati a ‘trattare’): se l’Ue non si dà una mossa, e in tempi brevi, l’unica prospettiva credibile per garantire la sicurezza energetica sarà quella di affidarsi (in toto e definitivamente) ai vari Stream di Gazprom.
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Se, invece, volete sapere esattamente da dove dovrebbe provenire il gas del gasdotto concorrente, il Nabucco, troverete moltissime informazioni utili qui.
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