Scorie nucleari

C’è chi afferma che non siano affatto un problema. Ma ignora un ottimo documentario francese…
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Tra i mille feed che mi dilettano quotidianamente c’è anche quello di Inganno Ambientalista, il cui nome non lascia adito a grossi dubbi sulle intenzioni del blog…

Questo sito è appena uscito con un post dal titolo esplicito: “Rischio scorie nucleari: bufala”.


Ne estraggo le parti più significative:
L’allocazione sicura dei rifiuti radioattivi, lungi dall’essere un problema irrisolto, è invece, dicevo, un problema di ingegneria semplicissimo e facilmente risolvibile. Ma esso diventa un problema risolto a una sola condizione: che si individui il sito per un deposito, anche solo di superficie, di questi rifiuti, e si metta in cantiere la sua rapida realizzazione.
I disinformatori in servizio permanente effettivo cambiarono mantra: quello delle scorie - stanno ripetendo come un disco rotto - è un problema irrisolto. Lo hanno ripetuto talmente tante volte che è diventata una verità data, urbi et orbi, per assodata. Ma è una delle tante leggende metropolitane, perché l’allocazione sicura dei rifiuti radioattivi è invece un problema di ingegneria semplicissimo e facilmente risolvibile.
e, soprattutto:
Avete mai visto qualche cittadino francese o giapponese additare il problema da cui la Francia o il Giappone - che pure hanno quasi 60 reattori nucleari ciascuno - dovrebbero essere assillati, nel caso fosse, quello delle cosiddette scorie, come un problema veramente irrisolto?
Personalmente sono tra coloro che non vedono di buon occhio l’opzione nucleare. Non tanto per questioni di sicurezza, che pure esistono ma sono arginabili con tecnologie moderne e con la scelta di siti idonei che riducano al minimo le conseguenze su ecosistema e popolazione in caso di guasto.

Sono, invece, tra coloro che non hanno ancora detto sì al nucleare proprio per la questione delle scorie.


Sono un “disinformatore in servizio permanente effettivo", come mi definirebbero quelli di Inganno Ambientalista.


Mi consola, però, il fatto di non essere solo: oltre alle migliaia di comunistacci riciclati alla causa ambientalista, quelli che divono sempre no a qualunque progetto, e alle (meno, purtroppo) migliaia di ex figli dei fiori che sono convinti che ci si possa riscaldare con il sole e con la legna e che con la cacca si possano fare i fiori, oltre a tutta questa gente c’è anche “certa stampa”.

Per certa stampa intendo l’emittente francese France 3 che, qualche mese fa, è andata in onda con un documentario abbastanza angosciante sull’inganno nucleare d’oltralpe.

Tutta una serie di bufale, queste sì, che sono state raccontate per decenni ai francesi per non farli preoccupare. Tutta roba ben documentata, che vale la pena di vedere anche perchè, non si offendano quelli di Inganno Ambientalista, mostrano come tutto il mondo è paese e le scorie, gira e rigira, le mettono sempre sotto il tappeto.

Buona visione…












Sul fallimento del Cop15

Sul pessimo vertice di Copenhagen se ne sono dette di cotte e di crude. Ma, paradossalmente, ci ha azzeccato un blogger del Sole 24 Ore. Rivoluzionario…

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Inizialmente volevo seguire il vertice sul clima di Copenhagen dai soli comunicati stampa: niente tv, niente giornali…


Poi, dopo appena un paio di giorni, è emerso chiaramente che il vertice andava a rotoli e, di conseguenza, ho deciso di non seguirlo più. A che sarebbe servito seguire un summit internazionale che passerà alla storia per quello che non ha prodotto?

Ho preferito dedicarmi ad altro, molto meno global e assai più local…

Adesso, però, dopo la sbornia natalizia e l’abbuffata (assai poco ecologica) di cibi di tutti i tipi in quantità da far invidia ad un suino e far rabbia ad un missionario o ad un attivista per i diritti umani, è tempo di ragionare sul fallimento del Cop15.

Ed è ora di rileggere qualche commento da quella stampa precedentemente (saggiamente) snobbata.

C’è chi, come l’Unità, attribuisce buona parte dei demeriti alla Cina. E non gli si può dare molto torto.

C’è chi, come Repubblica, mette in luce il problema dei controlli e delle verifiche: come verranno spesi i soldi trasferiti (?) ai paesi poveri?

C’è chi, come Il Foglio, guarda più al portafoglio che al termometro e riporta tutto al vil denaro.

E poi c’è una voce strana, quella che non ti aspetti.

Mi riferisco al commento di Antonello Pasini, ricercatore del Cnr e studioso di modellistica climatica. Uno del mestiere, non un giornalista prestato al tema ambientale.

Secondo Pasini
il problema dei cambiamenti climatici rappresenta solo la punta di un iceberg. La causa di tutto sta sotto: in un sistema economico e produttivo non più sostenibile su una Terra dalle risorse finite
Perchè mi stupisce questo commento? Perchè è pubblicato sul blog Il Kyoto fisso che fa parte della piattaforma editoriale del Sole 24 Ore.

Il fallimento del Cop15 fa male al clima, ma leggere su un blog pubblicato da Confindustria che il mondo sta andando a puttane a causa di “un sistema economico e produttivo non più sostenibile” fa bene al cuore.
Non tutto è perduto.


La risposta del fantasma

L’Agenzia europea per l’ambiente si giustifica per il pessimo servizio offerto da Eye on Earth. E conferma i timori degli ecologisti messinesi.



Vi ricordate la storia delle “centrali fantasma”?

Parlo di quelle, come la Edipower di Milazzo, che stranamente non compaiono nelle foto satellitari di Eye on Earth, il servizio di controllo via satellite dell’inquinamento recentemente inaugurato dall’Agenzia europea per l’ambiente.

Bene, la cosa ha un seguito perchè la suddetta agenzia ha risposto al WWF che, giustamente, chiedeva spiegazioni.
Volete sapere cosa hanno risposto da Bruxelles?

In prossimità dell’Edipower nel comprensorio del Mela (Messina) non ci sono centraline di monitoraggio che trasmettono dati della qualità dell’aria al sito Eye on Earth. L’autore del comunicato stampa (WWF), per affermare che l’Agenzia definisce “Ottima” la qualità dell’aria nella zona di ASI, deve aver utilizzato i dati del modello il quale procura valori approssimativi per superfici molto estese di territorio. Come tutti i modelli, sembra ingiusto imputare all’Agenzia colpe di mancata accuratezza: specialmente in una zona di superficie così limitata come nel caso del sito Edipower. Eye on Earth, nella sezione “Aiuto”, procura indicazioni molto chiare su la differenza tra dati della qualità dell’aria, effettivamente misurati sul territorio, e quelli che risultato da calcoli del modello di previsione della qualità dell’aria. Il comunicato afferma che il sito Edipower si vede solo in Google Earth ma non nelle mappe dell’Agenzia. Ciò è vero. I governi hanno in genere regole diverse nel consentire la pubblicazione di immagini aeree di zone ritenute sensibili dal punto di vista di  sicurezza nazionale. Particolarmente quando queste sono acquisite dallo spazio aereo da essi controllato. E’ possibile che il governo italiano abbia identificato dei dettagli nelle immagini ad alta risoluzione della Microsoft che non potevano essere mostrati per motivi di sicurezza nazionale. Allora perché è diverso in Google? Bene, Google utilizza immagini satellitari raccolte al  disopra dello spazio aereo controllato dove il diritto nazionale d'Italia non si applica.
Anna Gasquet - European Environment Agency Communications.
Oltre il danno la beffa: sono anni che si chiedono le centraline…

Stravolgi la notizia

Sulla questione del fotovoltaico a Ragusa la coppia Sgarbi-Striscia la notizia l’ha combinata grossa…

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Se qualche giorno fa avevo dei leciti dubbi sulla buona fede di Vittorio Sgarbi in seguito alla sua visita al parco fotovoltaico di contrada Mendolilli a Ragusa, da oggi ne ho di molto più seri su Striscia la notizia.



Sono tornato sul posto (c’ero stato quest’estate ma era ancora in pieno cantiere) e ho visto come stanno realmente le cose.

La realtà dei fatti è molto, molto diversa da come l’hanno raccontata…



P.S.

"Sgarbi e Striscia Mentono ..."
Questo video non è più disponibile a causa di un reclamo di violazione del copyright da parte di R.T.I..
Siamo spiacenti.

E vi ho detto tutto...

Sgarbi è uno stronzo

Tutti i motivi per cui Vittorio Sgarbi odia le rinnovabili e tutti i motivi per cui, senza timore di smentita e di querela, lo si può definire “stronzo”.

Sgarbi-fotovoltaico-mendolilli-striscia

Il binomio Vittorio Sgarbi-Striscia la notizia, dopo quella sull’eolico, ne ha combinata un’altra.

Vivendo in provincia di Ragusa, mi aspettavo la visita di Vittorio Sgarbi al parco fotovoltaico ad inseguimento solare di Contrada Mendolilli.

C’è venuto qualche giorno fa, anche se la puntata di Striscia la notizia è andata in onda solo ieri.

Vi ho già accennato agli interessi economici di Vittorio Sgarbi in Sicilia, che fanno a pugni con le energie rinnovabili. Si tratta, sostanzialmente, di una linea aerea per turisti ricchi che collega la zona di Mazara del Vallo con quella di Ragusa.

Oggi, invece, faccio un passo avanti e mi permetto di definire Vittorio Sgarbi uno “stronzo, ma in senso buono”.


La definizione, apparentemente senza senso, è invece assai pertinente ed è stata inventata dallo stesso Sgarbi durante una puntata del programma “La zanzara” che va in onda la sera su Radio24.

La puntata in questione è quella del 23-11-09.

Durante il suo intervento in quella puntata Sgarbi spiega, sostanzialmente, che è felicissimo che sia stato “sdoganato” il termine “stronzo” e ne ipotizza una sua accezione positiva. Che poi è quella che sposo io in questo post. E che intendo affibbiargli.

Tale accezione ricorda molto il concetto di “paraculo” che, però, non essendo ancora sdoganato non possiamo accostare a Vittorio sgarbi.

In pratica, dice Sgarbi, lo stronzo (in senso buono) è quello che te la mette in quel posto con le sue qualità, la sua furbizia, le sue capacità per ottenere un vantaggio personale.

Stronzo, quindi, è un termine soggettivo e non oggettivo: sei stronzo per me, ma magari non per un altro. A differenza, dice sempre Sgarbi, di “merda” che, se lo sei, lo sei per tutti…

Ho estratto il brano della trasmissione in cui Sgarbi, egregiamente, spiega il concetto:





Abbiamo, quindi, capito cosa significa stronzo.

Ora, invece, torniamo alla fobia di Sgarbi per le rinnovabili e alla puntata di Striscia la notizia del 7 dicembre 2009:

(il collegamento è esterno, cliccate e poi tornate qui)

Sgarbi-fotovoltaico-mendolilli-striscia


L’impianto in questione, quello di Contrada Mendolilli a Ragusa, è situato in un posto strategico: ottima insolazione ed esposizione, in collina e in una zona ventilata (il silicio, quando riscalda, rende assai meno).
Purtroppo per Sgarbi, però, è perfettamente di fronte la sua pista d’atterraggio.

Mi spiego meglio: Sgarbi, tempo fa, ha annunciato una sua linea aerea che con immensa fantasia ha chiamato Ali Sgarbi.

Non ho idea se questa linea aerea sia già nata, non ho fatto una visura camerale o roba del genere, ma il fatto che Sgarbi lo abbia annunciato ai quattro venti e a tutte le agenzie di stampa rende evidente il fatto che (se non lo ha ancora fatto) abbia intenzione e interesse di farlo.

Partenza dei voli dallo splendido Hotel Kempinsky di Mazara del Vallo e atterraggio nell’altrettanto splendido Eremo della Giubiliana in territorio di Ragusa.

Vi consiglio entrambi i posti, se ve li potete permettere…

Prendiamo, adesso, una bella cartina geografica e vediamo il percorso:

Sgarbi-Kempinski-Eremo


Quello che vedete è il percorso in auto ma quello in aereo dovrebbe essere molto simile perchè tutte le zone turistiche-archeologiche che Sgarbi vorrebbe farvi osservare dall’alto, per 1.500 euro, stanno tutte su quella linea…

Andiamo di zoom e avviciniamoci all’Eremo della Giubiliana:

Sgarbi-Mendolilli-Eremo


Il punto A è il sito del parco fotovoltaico di Mendolilli, il punto B è l’Eremo della Giubiliana.

In mezzo una bella vallata, sulla sinistra, invece, lo splendido castello di Donnafugata (lo avrete visto di sicuro in qualche puntata di Montalbano: è la casa del vecchio mafioso).

Ancora zoom e vediamo la zona del parco fotovoltaico:

Sgarbi-dettaglio-mendolilli


I pannelli, in questa immagine, ancora non ci sono. Ci sono, invece, i muretti a secco che dividono in grossi quadrati i terreni e ho indicato sommariamente “il muro di merda”, come lo descrive Sgarbi, in cemento armato costruito dalla Provincia Regionale di Ragusa lungo la strada.

Credo che ora, anche se vivete a Trento o Bolzano, abbiate un’idea dei luoghi.

Ma andiamo avanti. Anzi, indietro con lo zoom:

Sgarbi-eolico-sicilia


Questa è la mappa dei parchi eolici presenti in Sicilia, aggiornata a ottobre 2009, fonte Regione Sicilia – Ufficio Speciale per l’Energia.

Fate bene attenzione al fatto che ad ogni pala disegnata corrisponde un intero parco eolico, quindi le pale in totale sono centinaia.

Di nuovo zoom, zona occidentale:

sgarbi-eolico-mazara-del-vallo


La zona da cui vorrebbe decollare Sgarbi è bella piena di parchi eolici e, andando verso sud-est (cioè verso la pista di atterraggio) se ne incontrano altri.

Zoom sulla pista d’atterraggio:

sgarbi-eolico-mendolilli-ragusa


Il cerchietto verde indica sommariamente la zona d’atterraggio, come abbiamo visto di fronte al parco fotovoltaico di Mendolilli.

Il cerchietto arancione, invece, indica un altro parco eolico: quello di Giarratana-Monterosso Almo.





Casualmente, di questo parco eolico che non è lungo il tragitto dell’aeroplanino (e non si vede nemmeno dalla costa perchè è in mezzo ai Monti Iblei) Sgarbi non si è mai lamentato!

Facciamo due conti:
  1. Il termine “stronzo”, ma solo “in senso buono”, si può ormai affibbiare a chiunque, parola di Sgarbi. +
  2. Lo stesso Vittorio Sgarbi ha, o avrà a breve, interessi privati che non combaciano affatto con lo sviluppo delle fonti rinnovabili lungo il tragitto del suo aeroplanino (cioè l’intera costa meridionale della Sicilia). +
  3. Se Sgarbi blocca le rinnovabili ottiene un vantaggio, ma a svantaggio di coloro che con le rinnovabili ci lavorano e di tutto il resto della comunità che avrebbe energia senza inquinare.
Quanto fa?

Fa che Sgarbi non la racconta tutta... Ma la cosa più grave è come la racconta Striscia.



Copenhagen: fughe in avanti (o indietro?)

Siamo solo al secondo giorno di trattative e i paesi ricchi hanno già ottenuto il primo risultato: i poveri si spaccano. E battono cassa…

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Fedele al mio proposito di seguire la conferenza di Copenhagen solo tramite il servizio stampa ufficiale, anche oggi leggo brutte notizie.


Tra la decina di comunicati di oggi, uno in particolare mi interessa: questo.

Descrive una prima spaccatura all’interno del G77, il G8 dei poveri che, nonostante il nome, riunisce 130 paesi in via di sviluppo. Quello che una volta si chiamava terzo mondo…

Leggo dal comunicato:
Division among the members makes it difficult for the Group of 77 (or G-77) to speak with one voice. This may hamper the negotiations at the ongoing UN conference in Copenhagen.
“Differences between (…) nations grouped under the G-77 are growing wider on almost all crucial issues, making it increasingly difficult for the climate talks to produce a consensus,”  The Jakarta Post reports.
Il problema è che tra i 130 del G77 c’è un po’ di tutto: Cina, India e Brasile, da una parte, Bangladesh, Indonesia e mezza Africa dall’altra.

Interessi evidentemente diversi…

Tra i 130 del G77, ad esempio, vi era la proposta indonesiana di concedere tempo fino al giugno 2010 per raggiungere l’accordo di Copenhagen (o meglio, post-Copenhagen).

Meglio tardi che mai, insomma. O meglio tardi che poco o niente, come sembrano andare le cose in questi primi giorni.

Nossignore. La proposta non piace a Cina, India, Brasile e Sud Africa che ancora, a conferenza già iniziata, non hanno dato un parere ufficiale in merito.


Nel frattempo, c’è chi muore di fame. Ma non di sete, visto che è costantemente sommerso dalle acque che, nonostante le teorie dei negazionisti del riscaldamento climatico, continuano ostinatamente e maleducatamente a cadere su certi paesi sotto forma di piogge torrenziali o di straripamenti inspiegabili.

Parlo del Bangladesh che, si dice, di tutti i paesi messi così è quello messo peggio.

E infatti proprio il Bangladesh è il primo a battere cassa: non si sa se e quanto verrà stanziato per ridurre i rischi e i danni del surriscaldamento globale ma già il paese asiatico ha deciso di chiedere il 15% della somma totale.

E il servizio stampa della conferenza titola:
Bangladesh asks for 15 percent of any climate fund
Even before any climate adaptation fund has seen the light of day, Bangladesh makes substantial demands.
Fuga in avanti o fuga indietro?


Copenhagen: cominciamo male…

Il vertice è appena iniziato, ma le posizioni sono già lontanissime. E l’Occidente sviluppato fa il filo a India e Cina.
  
conferenza-ONU-copenhagen

Ho deciso di seguire il vertice di Copenhagen solo e soltanto dai comunicati ufficiali.
Niente tv e niente giornali. Non so se ce la farò…


In ogni caso, leggendo i comunicati della prima giornata sto vertice non lo vedo affatto bene.
Tre dispacci, in particolare, mi fanno pensare al peggio.

Il primo descrive la posizione del G77, cioè dei 77 paesi in via di sviluppo che si sono presentati alla conferenza speranzosi di scaricare l’onere della riduzione delle emissioni solo, o quasi, sulle spalle di Europa e Stati Uniti e, contemporaneamente, di ottenere anche qualcosina di soldi per ridurre anche loro per quanto possono.

Cioè poco.

Leggiamo un pezzettino del comunicato:
About the EU’s promise to reduce emissions by 20 percent from 1990 levels in 2020 – rising to 30 percent if other nations follow with ambitious targets – the President of the G-77, Lumumba Stanislaus Di-Aping, said:
"It's a serious mistake and lack of responsibility from the European countries to commit to such a low degree of reductions…It's their obligation to rise up to the challenge of serious reduction of emissions because science has already spoken that the world cannot afford inaction," he said and continued:
"I do believe that they [the European countries] should move away from considering their national economic interests at the cost of humanity."
Abbastanza chiaro, direi: l’Europa non può fermarsi alla piccola promessa di ridurre del 20% le emissioni rispetto al 1990.

Che poi, non va dimenticato, era l’obbiettivo di Kyoto. Fallito…

L’Europa, però, risponde con un secondo, subdolissimo, comunicato:
A study released by the UN Environment Program Sunday indicated that pledges by industrial countries and major emerging nations fall just short of the reductions of greenhouse gas emissions that scientists have called for — and the gap is narrower than previously believed.
Miracolo! Le riduzioni previste da Europa e, guarda caso, “i maggiori paesi emergenti” (leggi Cina e India), sono molto più vicine di quanto si possa pensare a quanto chiedono gli scienziati.

Alla faccia del G77 e delle sue richieste.

Ma c’è di più, c’è il terzo comunicato in cui si afferma che sull’edizione tedesca del Financial Times, a sua volta, si afferma l’agenzia di stampa AFP sarebbe entrata in possesso di una bozza di accordo sul piatto da offrire ai paesi “poveri” già bella e pronta ma con una grande X:
In a draft text obtained by the news agency AFP, the amount is just given as “X billion euros for the years 2010 to 2012”, but according to the German daily’s source, the X will be replaced by a figure in the range from one to three.
Due notizie, entrambe brutte: la prima è che un servizio stampa ufficiale di una conferenza Onu è costretto a rincorrere un giornale, per quanto grande e prestigioso. La seconda è che l’Europa sarebbe disposta a mettere di tasca propria solo 1, 2 o al massimo 3 miliardi di euro.

Il “terzo mondo” ne vorrebbe dieci!

Mi chiedo e mi domando, leggendo appena tre comunicati del primo giorno di lavori, si poteva partire peggio?


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Rigassificatore e sviluppo

Il poco attivo blog del Comitato pro Rigassificatore di Porto Empedocle invita i lettori a una riflessione sullo sviluppo economico e sociale. Parliamone…

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Il rigassificatore di Porto Empedocle ha i suoi comitati. Quello pro e quello contro.

Quello pro ha un suo blog, gestito da un giovane politico locale, targato Udc, che posta molto poco.

Recentemente, però, sul blog del Comitato pro rigassificatore di Porto Empedocle è spuntato un post interessante con poche parole e due video.

Le parole sono queste:
Solo chi conosce poco i luoghi e la loro storia può immaginare Porto Empedocle come area dal paesaggio incontaminato e può tentare di tirare Pirandello per la giacchetta
I due video, invece, sono questi:





Si tratta di un documentario del 1958, portato a testimonianza della storicità dello sviluppo industriale del sito scelto dall’Enel per la costruzione del rigassificatore.

Il discorso, in altri termini, è questo: è inutile gridare allo scandalo perchè Porto Empedocle è sempre stata, o quasi, una città a vocazione industriale.

Anzi, ancor di più, prima dello sviluppo industriale c’era la pesca in crisi con i pescatori che guadagnavano 200.000 lire l’anno se andava bene, mentre l’operaio specializzato del nuovo polo chimico, in un solo mese, ne guadagnava 50.000.

Il documentario, che lascia il tempo che trova essendo datato ‘58, ha una vaga somiglianza con i cinegiornali Luce ed è impregnato di quello pseudofunzionalismo tutto meridionale che contraddiceva sè stesso quando affermava che l’industria dello zolfo in Italia era in crisi e quindi, per salvare le miniere e i minatori, bisognava inventarsi l’industria dello zolfo trasformato.

Il meccanismo mentale che sta dietro il gesto modernissimo di postare un documentario di 51 anni su un blog politico, invece, è molto più interessante.

E’ interessante, ad esempio, notare come l’orizzonte culturale dell’industrialista non sia cambiato in dieci lustri: quando c’è crisi, invece di tornare sui propri passi e cercare gli errori per correggerli, si ripercorre la stessa strada e si ripropone l’impianto industriale.

Qualunque esso sia.

Quando manca il lavoro, si propone l’industria come soluzione al problema. Quando il reddito è basso, si propone l’industria. Quando i cittadini emigrano, si propone l’industria.

Dove sta il problema, quello vero?

Sta nel fatto che proporre, in questo caso, un rigassificatore (impianto modernissimo e tecnologico) in un territorio economicamente depresso come la Sicilia è un gesto antico, vecchio. Mi aspetterei qualcosa di meglio da un giovane uomo politico di 28 anni.

E’ un gesto che ha almeno 51 anni, come il video postato testimonia.

Specialmente perchè è un gesto decontestualizzato: l’industria precipitata dall’alto non funziona, la storia lo ha dimostrato.

L’industria precipitata dall’alto tiene in piedi fin tanto che lo Stato l’accompagna con abbondanti sovvenzioni.
Un rigassificatore a Porto Empedocle non serve al territorio, serve al massimo (ed è da dimostrare visto il contesto energetico degli ultimi 5-10 anni) all’Italia.

Lasciando stare il fatto che far sbarcare il Gnl in Sicilia per poi pomparlo lungo tutta l’Italia è, dal punto di vista strettamente energetico-economico assurdo, resta il fatto che un impianto del genere a Porto Empedocle non deriva da una richiesta del territorio.

L’unica richiesta a cui potrebbe dare risposta è quella del lavoro. Una cinquantina di lavoratori, una volta a regime, non di più.

Personalmente non sono contrario ai rigassificatori in quanto tali. Anzi, sono convinto che possano e debbano fare parte di una strategia nazionale energetica coerente e ben fatta. E non solo in Italia.

Ma non mi sembra che mettere due rigassificatori di grosse dimensioni entrambi in Sicilia (uno dei quali, quello di Melilli-Priolo, in una zona ad altissimo rischio industriale), a mille e passa chilometri dalle maggiori utenze del gas, aggiungendolo ad un dedalo di gasdotti già esistenti o in costruzione, sia una strategia coerente e ben fatta.

Poi tutto il resto conta poco. Pirandello compreso…




Termovalorizzatori: gli incentivi Cip6 restano

Da qualche ora si è sparsa la notizia che Scajola avrebbe cancellato gli incentivi per i termovalorizzatori siciliani. E’ una bufala, ma “La Sicilia” ci ha creduto. E se l’è fatta sotto…

cip6-termovalorizzatori-scajola
E’ sempre più costruttivo e istruttivo leggere “La Sicilia”…


Dopo l’accorato appello affinchè venga salvato il progetto del rigassificatore di Priolo-Melilli (con i risultati che ormai tutti conosciamo), il quotidiano catanese si sta dando da fare in questi giorni per salvare anche i termovalorizzatori siciliani.

Leggo a pag.7 dell’edizione di oggi, 4 dicembre 2009, un bel titolone:
UNA MAZZATA. Il decreto ministeriale blocca le risorse dal 2010 e la Regione non è pronta
Scajola: <Stop agli incentivi del Cip6>
E come si faranno i termovalorizzatori? Senza le sovvenzioni gli industriali non intendono realizzare gli impianti
Il titolo, come vedete, è assai esplicativo. Il resto del pezzo è perfettamente in linea, quindi non ve lo cito nemmeno…

Il decreto a cui fa riferimento l’articolo, a firma Tony Zermo (pezzo grosso del giornale catanese che, scopro oggi, ha anche un simpatico fan club su Facebook) è stato firmato dal ministro per lo sviluppo economico Scajola il 2 dicembre, l’altro ieri.

Considerato che il pezzo Zermo lo ha scritto ieri per mandarlo in pagina oggi, intuisco che, se avesse voluto, il decreto avrebbe potuto anche leggerselo. Lo trovava pure sul sito del ministero, a questo indirizzo.

Invece intuisco che non lo ha fatto.

Il pezzo su “La Sicilia”, infatti, non ha alcun senso: è una bufala che rimbalza una bufala perchè Scajola, in quel decreto, tutto fa tranne che togliere gli incentivi Cip6 ai termovalorizzatori.

Leggiamo un paio di estratti del decreto:

scajola-decreto-cip6-termovalorizzatori


Già da queste poche righe si dovrebbe intuire l’entità della cantonata.

Il decreto, infatti, fissa una graduale uscita dal meccanismo Cip6 tramite dei rimborsi alle società che gestiscono gli impianti incentivati. Ma non tutti!

Scajola vuole “disincentivare” solo quelli che producono energia da “combustibili di processo o residui o recuperi di energia” e gli impianti “assimilati alimentati da combustibili fossili”.

scajola-decreto-cip6-termovalorizzatori-2



In pratica il decreto si riferisce a impianti come l’Isab Energy di Priolo che ha goduto, fino al 2008, di otto anni di Cip6.

Se disincentivazione ci sarà anche per i termovalorizzatori, come scritto poche righe sopra si dovrà fare con un “successivo provvedimento”.

E questo vale anche per le rinnovabili vere, non quelle assimilate. Anche se, ormai, di rinnovabili vere nel “calderone cip6” ce ne sono pochissime.

Bene ha fatto Scajola ad azzoppare il meccanismo perverso degli incentivi Cip6. Maleha fatto, invece, a non azzopparlo anche per i termovalorizzatori.

Di cosa ha paura, quindi, “La Sicilia”?


Rigassificatore Melilli: dietro front!

Rossana Interlandi, dirigente generale del Dipartimento Territorio e Ambiente della Regione Sicilia, scopre l’acqua calda.
rigassificatore-melilli-priolo-parere-negativo-interlandi

Che qualcosa, nella chiusura dell’iter burocratico del rigassificatore di Melilli-Priolo potesse andare storto già lo si era intuito.


Ora, però, l’iter è del tutto compromesso in seguito al documento portato in conferenza dei servizi, tenutasi a Palermo la settimana scorsa, dalla dirigente del Dipartimento Territorio e Ambiente (nonchè ex assessore regionale all’Ambiente) Rossana Interlandi.

Il documento gira già da qualche giorno in rete ed è molto interessante perchè ammette tutti i rischi paventati dai comitati anti-rigassificatore.

Soprattutto uno: il rischio di effetto domino. Con tutti quegli impianti chimici ed energetici in un fazzoletto di terra di pochi km quadrati, se ne salta uno allora il rischio che saltino tutti (gas e rigassificatore compresi) è elevatissimo.

Non ci voleva molto a capirlo, lo si dice da anni…

Riconosciuto, poi, lo stato pietoso in cui versa la Rada di Augusta e la pessima salute dell’ecosistema che ospita.

Anche in questo caso non ci voleva molto… Chi lo sa se la Interlandi ha visto questi pesci





Fatto sta che, ormai, il dado è tratto e il documento è uscito fuori (probabilmente era molto impolverato). Lo volete leggere?

Eccolo:


In riferimento alla realizzazione dell’impianto di rigassificazione specificato in oggetto, visti gli elaborati progettuali trasmessi dalla società Ionio Gas s.r.l., si rappresenta quanto segue.
Il sito scelto per la realizzazione dell’opera è ubicato su un tratto di costa che vede la presenza di: - centrali termoelettriche ENEL di Priolo e Augusta per la produzione di energia elettrica;
- stabilimento SASOL ltaly di Augusta per la produzione di prodotti chimici organici di base (ex ENICHEM nel 1995);
- stabilimento ISAB Nuove Centrali Impianti Nord e Sud di Priolo Gargallo per la produzione di energia elettrica;
- stabilimento ISAB Raffinerie Impianti Nord e Sud di Priolo Gargallo per la raffinazione di petrolio grezzo (ex rispettivamente raffineria PRAOIL e raffineria ISAB nel 1995);
- ISAB Energy di Priolo Gargallo con l’impianto IGCC per la produzione di energia;
- stabilimento POLIMERI EUROPA di Priolo Gargallo per la produzione di prodotti chimici organici di base (insieme alla SYNDIAL ex ENICHEM Priolo nel 1995);
- Stabilimento ESSO di Augusta per la raffinazione del petrolio greggio;
- Stabilimento BUZZI UNICEM di Augusta per la produzione di cementi (ex cementeria di Augusta nel 1995).
La presenza di suddetti stabilimenti determina la movimentazione nei porti di Augusta e Siracusa, di oltre 50 milioni di tonnellate annue di merci , che riguardano principalmente prodotti petroliferi e rappresentano il 50% del traffico totale regionale. In questa area vengono infatti raffinate annualmente 27 milioni di tonnellate di greggio pari al 26% della raffinazione nazionale ed al 74% di quella regionale, con una esportazione di oltre 12 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi, pari al 44% della quota nazionale, principalmente verso Stati Uniti, Tunisia, Gibilterra, Francia e Spagna. Si importano, invece, in prevalenza greggio e gas naturale, costituenti 1’88, 1% dell’import siracusano prevalentemente da Russia, Arabia Saudita e Libia.
La presenza massiva dei suddetti stabilimenti ha determinato la dichiarazione dell’area ad “elevato rischio di crisi ambientale”, così intesa non soltanto per il rischio di carattere strettamente ambientale, collegato quindi alla presenza o produzione di inquinanti, ma anche ad un incremento di rischio dovuto alla presenza di impianti e depositi che trattano e detengono sostanze pericolose.
Ambiente marino costiero
Con la costruzione delle industrie si rese necessaria anche la protezione della rada con estese dighe foranee. L’attuale struttura portuale si estende per circa 9 km in direzione N-S e 4 in direzione E-O e comunica con il mare aperto tramite due imboccature larghe ognuna circa 300 m. All’interno delle rada sono presenti più di 15 pontili, alcuni di lunghezza superiore a 1100 m, per il trasferimento da e sulle navi dei prodotti lavorati e delle materie prime. Attualmente l’attività del polo petrolchimico sono considerate ad alto rischio ambientale come riportato nei DPR 17/1/95. “Le attività produttive del Polo petrolchimico (. .. ) ed i relativi stoccaggi di sostanze pericolose per caratteristiche di tossicità e/o infiammabilità risultano concentrati in una ristretta fascia di territorio dislocata lungo la costa. Tali insediamenti sono classificabili industrie a rischio ai sensi del DPR 175/88, in quanto fonti di rischio di eventi incidentali significativi in termini di estensioni areali e gravità delle conseguenze per la popolazione e le strutture esterne agli stabilimenti, quali rilasci tossici (soprattutto ammoniaca, acidofluoridrico, cloro e idrogeno solforato) e BLEVE - Fireball di GPL. Le sostanze in ingresso ed in uscita sono inoltre movimentate attraverso decine di migliaia di auto botti e ferrocisterne (nel 1991 circa 65000 automezzi e 2000 ferrocisterne) e migliaia di navi (nel 1991 circa 4300 unità. Per quanto riguarda gli eventi principali di incendio ed esplosione esaminati (pool Fire, UVCE, BLEVE - Fireball) possono determinare effetti assai gravi soprattutto sulle aree urbanizzate circostanti agli insediamenti industriali ed in particolare appaiono interessate in modo rilevante le principali infrastrutture di comunicazione”.
Nel polo Augusta-Priolo-Melilli, gli stabilimenti hanno cambiato la fisionomia del territorio con impatti negativi sulla qualità ambientale. I primi allarmi si registrarono tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80 sia nella rada, sia nelle aree circostanti. Nel 1979 nella rada di Augusta si verificarono ripetute morie di pesci, inizialmente messe in relazione all’aumento delle microalghe nell’area portuale, poi collegate all’attività industriale.
Da allora la rada è andata incontro più volte a crisi distrofiche, evidenziate da massicce morie di pesci. Numerose ricerche hanno evidenziato, all’interno della rada di Augusta, una massiccia presenza di esemplari appartenenti a specie indicatrici di inquinamento, mentre all’esterno del porto è stato riscontrato un buon livello di biodiversità. In particolare le stazioni site in prossimità degli impianti industriali mostravano alti livelli di criticità con popolamenti costituiti da numerosissimi esemplari appartenenti a poche specie, tutte indicatrici di ambienti disturbati o’ inquinati.
Il rigassificatore potrebbe apportare una decisa alterazione delle acque per via degli scarichi giornalieri di oltre 30.000 mclh di acque marine raffreddate e di un’immissione di agenti antivegetativi e disincrostanti in un’area delimitata quale la rada di Augusta.
L’ingente quantitativo di acqua di mare in transito attraverso l’impianto verrebbe sterilizzato e raffreddato, incidendo (per via diretta ed indiretta) sulle popolazioni batteri che. Si va ad alterare, in tal modo, il regolatore di uno dei cicli biogeochimici più delicati, ancora poco noto e che - proprio nella rada di Augusta - ha già dato più volte indicazione di stato di stress.
In particolare il problema maggiore, contrariamente a quanto comunemente percepito, non consiste però nel quantitativo di sostanze aggiunte in uscita dall’impianto, che - pur sempre dannose - potrebbero essere mantenuto a livelli minimi, se non addirittura neutralizzate per via chimica, prima di restituire l’acqua di mare al suo bacino. La parte più cospicua del danno ambientale è - di fatto - il transitare dell’acqua di mare attraverso l’impianto, dove la combinazione di sostanze chimiche, choc termico (cambiamento repentino di temperatura da caldo a freddo) e stress meccanico (passaggio attraverso le pompe) comporta la sterilizzazione di tutto quanto in essa contenuto.
Rischio industriale
Nell’Inventario Nazionale degli Stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti, predisposto dal Ministero dell’ Ambiente, ai sensi del D. Lgs. 334/1999 e successive modifiche e integrazioni, sono incluse alcuna delle attività produttive del polo petrolchimico. In particolare, gli Stabilimenti soggetti all’art. 8 del citato decreto sono la Raffineria Esso Italiana S.r.I.(raffinazione petrolio) di Augusta, la Sasol Italy S.p.A. (stabilimento chimico e petrolchimico) di Augusta, la Polimeri Europa S.p.A. (stabilimento chimico e petrolchimico e etilenodotto) di Priolo Gargallo, la ISAB Raffinerie, Impianti Nord e Sud (raffinazione petrolio) di Priolo Gargallo, la Isab Energy S.r.l. (centrale termoelettrica) di Priolo Gargallo, la Ionica Gas (deposito gas liquefatti) di Augusta, la Pravisani S.p.A. (produzione/deposito esplosivi) di Augusta, la Maxcom Petroli S.r.l. (deposito oli minerali) di Augusta. Gli stabilimenti soggetti all’art. 6 sono la Esso Italiana S.r.l. (stoccaggio prodotti petroliferi) di Siracusa, la Air Liquide S.r.l. (produzioneldeposito di gas tecnici) di Priolo Gargallo, la I.S.P.E. S.r.l. (produzione poliuretano espanso) di Siracusa. Ciascuna di queste attività ha presentato a suo tempo la dichiarazione ai sensi dell’art 8 e/o dell’art. 6 del citato D. Lgs., e adotta un Sistema di Gestione della Sicurezza che comprende tra l’altro un Piano di Emergenza interna. In aggiunta, il 26 giugno 2008 il Prefetto di Siracusa, una volta elaborato e concluso il Piano Integrato di Area, ha approvato il Piano di Emergenza Esterna d’Area del Polo Petrolchimico, redatto ai sensi dell’art 20 del citato D. Lgs. 334/99. Nella pianificazione dell’emergenza sono stati presi in considerazione anche le seguenti attività tutte soggette a notifica ai sensi dell’art. 6 e successe modificazioni:
- stabilimento ESSO ITALIANA (Deposito oli minerali);
- stabilimento Ionica Gas S.r.l. (deposito gas liquefatti) di Augusta;
- deposito Esplosivi Pravisani S.p.A. (produzione e deposito esplosivi) di Augusta;
- stabilimento GM Gas S.r.l.;
- deposito Maxcom Petroli di Augusta (stoccaggio e movimentazione prodotti petroliferi);
- stabilimento ISPE (produzione Poliuretano Espanso Flessibile) di Siracusa;
- stabilimento AIR LIQUIDE di Priolo dove si effettua la distillazione frazionata dell’aria per la produzione di Ossigeno, Azoto e Argon, con rischio di incendio e/o esplosione;
- stabilimento AIR LIQUIDE di Priolo dove vengono prodotti e/o stoccati ossigeno, acetilene e altri gas, con rischio essenzialmente di incendio e/o esplosione;
- stabilimento EniMed (deposito oli minerali) di Priolo Gargallo;
- etilenodotto da Priolo a Ragusa e a Gela.
Queste attività sono state censite dal Dipartimento Regionale della Protezione Civile, Servizio Rischi Ambientali ed Industriali, per valutare il potenzale impatto in caso di incidente rilevante. Allo scopo, per ciascuna di queste attività sono stati individuati probabili scenari incidentali e ne sono state simulate le conseguenze di danno con appositi modelli matematici.
Una condizione di rischio per il territorio è legata oltre che agli impianti presenti e agli stoccaggi di sostanze infiammabili e/o tossiche anche al trasporto di sostanze pericolose, in particolare di quello da o verso gli stabilimenti ubicati nell’area, soprattutto lungo la ex SS-114 che costeggia le zone industriali, la nuova SS-114, la rete ferrovia nella tratta Augusta-Targia, i pontili nel porto di Augusta e nella baia di Santa Panagia, la rete di condotte che attraversano l’area e collegano fra loro alcuni stabilimenti.
Conclusioni
Nel sito in questione, quindi, i problemi sono soprattutto la prossimità dell’impianto proposto ai centri abitati e ad altre industrie a rischio, l’assenza di ricambio idrico nella rada con i conseguenti effetti dello scarico delle acque di processo nell’ambiente marino. La zona vede contemporaneamente presenti vari rischi:
industriale; sismico e conseguente rischio maremoto; bellico; attentati; traffico navale;  linea ferrata all’interno di aree destinate a deposito gas.
La zona è infatti interessata dalla presenza di una linea ferrata che l’attraversa, passando a ridosso dei depositi di cui sopra, con pericolo di esplosione nel caso in cui ci fosse o un deragliamento, un incidente, o una fuga di gas. Nella rada di Augusta inoltre è presente il pericolo derivante dall’elevato traffico di navi che trasportano greggio, raffinati, esplosivi, ecc., problematica già affrontata nel Piano di risanamento ambientale del 1995, in cui si invitava a prendere le dovute precauzioni per ridurlo.
Dalla documentazione in possesso si ricava un incremento notevole del traffico di navi, circa 150 all’anno, ma non si rileva quali attività di prevenzione ,riduzione e mitigazione del rischio di incidente dell’impianto e della circolazione delle navi nella rada siano state messe in atto. Sebbene l’impianto in se è sicuramente un impianto che con le dovute cautele è relativamente sicuro, non è tale se immesso in una situazione di rischio preesistente e sottoposto ad effetto domino. Dato il sito prescelto, anche un incidente non immediatamente catastrofico, avrebbe grandi probabilità di innescare un effetto “domino” che concretizzerebbe un rischio imprevedibile per gli insediamenti umani limitrofi.
Dovrebbero essere adottate ad Augusta le norme dell’IMO (lnternational Maritime Organization), che nella sua circolare dell’11 dicembre 2006 prescrive specifiche misure di regolamentazione del traffico relative alla gasiere. Prescrivendo una “zona di sicurezza di 2 chilometri di raggio” attorno all’impianto, nella quale sono permanentemente vietati il transito, l’ancoraggio, lo stazionamento di navi in attesa ... e qualsiasi altra attività”. Se norme analoghe venissero adottate anche ad Augusta, l’incompatibilità del rigassificatore non soltanto con i programmi di sviluppo dei traffici commerciali, ma anche con l’ operatività attuale del Porto appare evidente.
Il sito prescelto ha un grado di pericolosità tale da rendere necessario un approfondimento e una riduzione del rischio prima della realizzazione di un analogo impianto quale è il rigassificatore. L’opera in argomento non risulta coerente con i principi di risanamento ambientale di cui al predetto Piano, considerando che lo stesso pone tra detti principi il contenimento e la riduzione dei rischi.
In conclusione poco spazio è stato dato alle alternative al progetto e alla loro analisi, quali ad esempio impianti off-shore , navi gassificatrici, impianti interrati e loro conseguente analisi critica.
Per quanto sopra rappresentato, nell’ottica della prevenzione, della sicurezza e del contenimento e riduzione degli incidenti derivanti dai rischi prima evidenziati, si esprime parere negativo alla realizzazione dell’opera nell’area prevista dal progetto. L’opera potrebbae risultare compatibile con il territorio interessato qualora si riuscisse ad abbassare il livello di rischio che lo caratterizza.
avv. Rossana Interlandi
dirigente generale
Dipartimento Territorio e Ambiente
dott. Antonino Cuspilici
dirigente generale Dipartimento Territorio e Ambiente, ex Ufficio Speciale Aerca

Che dire: meglio tardi che mai!


Se questa è Europa…

Sarà pure entrato in vigore il trattato di Lisbona, ma l’Europa è sempre in mano ai burocrati e ai potenti.

unione-europea-tat-milazzo-edipower-snam

Vi ricordate l’associazione Tat? Vi ricordate l’Europa degli inquinatori? A Bruxelles ne hanno fatta un’altra…


Gli amici della Tat, sempre attivi come al solito, mi hanno appena comunicato che hanno, finalmente, ricevuto risposta dall’Unione Europea.

Dopo appena 124 giorni la Direzione Generale Ambiente dell’Unione ha risposto ad una missiva dell’associazione datata 31/07/09. L’altro ieri, insomma…

In quella missiva, in realtà un comunicato stampa girato anche ai burocrati europei, la Tat lamentava lo scarso impegno di Edipower nel rispettare gli accordi presi in varie conferenze dei servizi sulla centrale termoelettrica di San Filippo del Mela.

Un giovanotto di cinquant’anni che brucia petrolio per produrre energia elettrica.
Bene, come dicevamo è arrivata la risposta:

unione-europea-risposta-tat-san-filippo-del-mela

In copia originale, così la potete apprezzare nella sua interezza.

Cari amici della Tat: se avete paura di morire avvelenati, la prossima volta compilate il modulo…

P.S. avete notato il lapsus? Gli zelanti euroburocrati, invece che alla centrale di San Filippo del Mela, fanno riferimento alla centrale “Snam”…


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