Gli shopper compostabili EN13432 e quelli oxobiodegradabili possono convivere?

Shopper biodegradabili, come la pensa Asso EcoPlast



La settimana scorsa ho parlato di plastica biodegradabile e di plastica compostabile con Francesco degli Innocenti, responsabile Ecologia dei prodotti di Novamont. Una lunga ma interessante intervista dalla quale è emerso che:

  1. L'attuale legge prevede che in negozio si possano vendere solo shopper in plastica compostabile conforme allo standard EN13432, che prevede che la plastica inviata al centro di compostaggio si biodegradi in anidride carbonica (per almeno il 90% del peso totale del sacchetto) in non più di sei mesi
  2. In alternativa si possono vendere sacchetti di plastica tradizionale, ma solo se sono molto spessi: almeno 100 micron se devono contenere prodotti non alimentari, almeno 200 micron se sono destinati agli alimenti
  3. La plastica "oxobiodegradabile", cioè quella tradizionale con gli additivi che velocizzano la biodegradazione, non è consentita e non è considerata compostabile perché non rispetta lo standard EN13432
  4. Anche la plastica compostabile contiene circa il 30-40% di prodotti di raffineria derivati dagli idrocarburi, ma questa quota si degrada comunque entro i sei mesi previsti dallo standard
  5. Il vero compostaggio, quello realmente efficiente, si ottiene solo negli impianti di compostaggio comunali o provinciali. Nelle compostiere domestiche la biodegradazione dei sacchetti compostabili è molto più lenta
Dopo aver pubblicato quell'intervista ho ricevuto una richiesta di replica da parte di Asso EcoPlast, che è l'associazione di categoria che riunisce i produttori di plastica oxobiodegradabile, quella tagliata fuori dal mercato dal decreto del marzo scorso.

Più che di replica, in realtà, dovremmo parlare di ulteriori chiarimenti perché la precedente intervista era formalmente corretta ma incentrata solo su un prodotto: il sacchetto compostabile "scelto" dal Governo come l'unico utilizzabile. Asso EcoPlast, invece, si batte affinché siano permessi anche i sacchetti oxobiodegradabili. Seppur con fini e scopi diversi da quelli compostabili.

Di questo ho parlato ieri con Claudio Maestrini, presidente di Asso EcoPlast. Con Maestrini ho parlato, prima di tutto, della risposta del Ministero dell'Ambiente all'interrogazione parlamentare del senatore del PD Francesco Ferrante sugli shopperini. Ferrante chiedeva un parere al Governo sul comportamento di UnionPlast (associazione di Confindustria dei produttori di plastica tradizionale, non oxobiodegradabile né compostabile) che ai suoi associati aveva riferito che anche i sacchetti in normale plastica erano a norma di legge, purché fossero prodotti con una buona percentuale di plastica riciclata.

Da qui siamo partiti, io e Maestrini, per analizzare tutta la questione bioplastiche. Il video dell'intervista è quello che apre questo post, di seguito una traduzione quasi integrale del nostro discorso.

1) Cosa c'è che non va nell'impostazione del decreto?

Cominciamo col dire che il decreto così com'è dice che oggi va bene la plastica En13432, ma poi fa riferimento a un decreto di carattere non regolamentare che dovrà essere promulgato entro dicembre che potrebbe dare la possibilità di usare anche altri tipi di imballaggi. 
Rispondendo all'interrogazione di Ferrante il Ministero non ha aggiunto nulla: oggi il decreto dice che va bene la plastica En13432 e tutto il resto è rimandato ad una ulteriore valutazione. Unionplast, poi, sostiene una interpretazione un po' diversa dalla nostra, cioè quella che se introduciamo una piccola percentuale di plastica riciclata alla plastica normale il risultato è conforme al decreto. 
Questa è una posizione che noi non abbiamo mai sostenuto né condiviso.

2) Qual'è allora la vostra posizione?

Noi riconosciamo che il decreto ha individuato nella En13432 una tipologia di plastica che oggi va bene, ma riteniamo che la nostra attività svolta nelle settimane precedenti l'approvazione del decreto abbia portato a riconsiderare la vicenda. E quindi che ci sia uno spazio nel prossimo decreto non regolamentare per valutare anche altre opzioni. 
I nostri sforzi adesso vanno nella direzione di portare a conoscenza delle istituzioni, dei cittadini, dei consumatori che la plastica oxobiodegradabile è una alternativa complementare alla bioplastica. Noi non diciamo che è migliore in assoluto, diciamo che in determinate applicazioni è una alternativa più vantaggiosa. Non esiste il materiale perfetto, dipende dal contesto.

3) Ad esempio, la plastica oxobiodegradabile per cosa sarebbe meglio e più indicata?

Le associazioni ambientaliste hanno sollevato giustamente il problema dell'accumulo della plastica nell'ambiente. C'è un vortice di plastica nel pacifico, c'è l'intrappolamento dei piccoli animali, la sottrazione luminosa, ci sono tutta una serie di problemi che sono legati all'accumulo del rifiuto plastico. 
C'è un problema di educazione del consumatore, ma anche un problema sistemico: il rifiuto plastico a volte finisce nell'ambiente. La plastica normale purtroppo è estremamente persistente e un sacchetto o una bottiglia possono durare nell'ambiente qualche decina d'anni, se non secoli. 
La plastica oxobiodegradabile è riciclabile, riutilizzabile e con tutte le caratteristiche della plastica normale. Ma se, incautamente, accidentalmente o per qualunque altra ragione finisce nell'ambiente, invece di persistere nell'ambiente viene degradata nel giro di poco tempo. Siamo un po' nella condizione dell'airbag. Speriamo di non usarli mai, ma se disgraziatamente ci dovesse servire siamo contenti di averlo. La plastica oxobiodegradabile a fronte di un investimento estremamente ridotto consente alla plastica di avere tutte le caratteristiche tradizionali e, in più, se finisce nell'ambiente si biodegrada.
Attenzione: non si frantuma, si biodegrada e viene assimilata da microorganismi e funghi e diventa anidride carbonica e biomassa.

4) Però c'è un famoso video di un sacchetto di plastica oxobiodegradabile con additivi "d2W" che ci mette almeno 18 mesi prima di iniziare a biodegradarsi e, alla fine, restano un sacco di pezzettini di plastica, come dei coriandoli


La plastica oxobiodegradabile, prima, subisce una riduzione del peso molecolare di tipo chimico-fisico e dopo c'è la digestione batterica. La tecnologia oggi a disposizione permette che la plastica oxo abbia un tempo in cui non succede nulla.  
Infatti la plastica del video è ingegnerizzata per rimanere intatta per 18 mesi così io posso usarla e riusarla per un periodo congruo. E posso anche riciclarla. Tra l'altro questo periodo io lo posso variare. 
Dopo di che lei vede una successiva fase di frantumazione. Nel video si vede il sacchetto in un ambiente quasi sterile, non ci sono i batteri. Sarebbe come se prendessimo un sacco di plastica compostabile e non lo mettessimo nel compostaggio. Quel video serve a dimostrare solo la prima fase: la plastica viene trasformata in qualcos'altro, del tutto simile ad un rifiuto organico come un pezzo di legno o una buccia di banana, che è digeribile dai batteri. Ma l'aggressione batterica non è mostrata nel video. 
Oggi ci sono studi approfonditi fatti dall'Università di Pisa, altri fatti in Inghilterra, in Francia e in Svezia che dimostrano che la plastica oxobiodegradabile è realmente biodegradabile. 
La sua perplessità la comprendo: vent'anni fa circolava un additivo che si chiamava EcoStar che era in realtà un frantumante. Ma in questi vent'anni la situazione è cambiata e i nostri prodotti non sono così.

5) Sul vostro sito di studio ne ho trovato uno, inglese, che prende in considerazione tutto il ciclo di vita (dalla culla alla tomba) della plastica normale, di quella oxobiodegradabile, di quella compostabile En13432. Se andiamo a vedere quanta energia si consuma e quanti rifiuti si producono per fabbricare 1000 sacchetti per ogni tipo di plastica, scopriamo che per fare quella compostabile ci vuole quasi il triplo dell'energia rispetto a quella oxobiodegradabile che, al contrario, produce quasi il 450% di rifiuti in fase di produzione...

Conosco abbastanza bene questo studio, che non è perfetto. Si parla soprattutto di rifiuti di produzione: pezzi scartati, ritagli delle maniglie etc etc... Queste parti vengono già riciclate all'interno del processo di trasformazione. Il produttore riutilizza fino all'ultimo grammo i rifiuti di produzione.  
Per quanto riguarda il consumo energetico, questo studio fa riferimento al mercato inglese e dice che il sacchetto compostabile fa tutto un giro fino in Norvegia per essere trasformato. Ma se prendiamo il sacchetto tradizionale, viene addirittura dal far east. Quindi con un consumo energetico per il trasporto ancora maggiore. Questo perché in Inghilterra non ci sono sotanzialmente produttori locali. 
-Anche per quanto riguarda le potenziali emissioni di gas serra di ogni tipo di plastica questo studio ha dei forti limiti. Per esempio prende in considerazione il metano e il percolato della plastica compostabile quando finisce in discarica. Solo che la plastica compostabile in discarica non ci deve finire, per legge. 
Ma non solo, ci sono altri limiti. Ad esempio lo studio non considera che la componente vegetale della plastica compostabile sottrae CO2 durante la fase di crescita, come tutte le biomasse. Abbiamo già segnalato queste incongruenze agli autori dello studio.  
Però la sua domanda è interessante perché uno pensa che la plastica En13432 quando finisce all'impianto di compostaggio non crea problemi. Incrociando i dati di Novamont e del Consorzio Italiano Compostaggio sul fabbisongo di plastica compostabile e quelli sulla reale quantità di sacchetti di plastica compostabile venduta l'anno scorso in Italia risulta che almeno 50mila tonnellate di questi sacchetti non sono finiti nel compostaggio.
Perché, purtroppo, il compostaggio in Italia non è geograficamente distribuito in maniera uniforme e non è così diffuso.  
La bioplastica compostabile va benissimo, la nostra è una posizione laica, ma deve finire nel compostaggio perché è un prodotto pregiato e costoso e perché se non finisce nel compostaggio rischia di avere un effetto ambientale non positivo.

6) Cioè? A quale effetto negativo si riferisce?

Già oggi la plastica compostabile presente sul mercato supera le reali necessità di contenimento della frazione umida dei rifiuti urbani.

7) E qual'è il problema? Essendo essa stessa compostabile la possiamo inserire all'interno dell'umido e mandarla al compostaggio come se fosse un rifiuto, in caso avessimo qualche sacchetto di troppo al ritorno dal supermercato... 

Non è così semplice, qui c'è un problema tecnico. Il carbonio, nella plastica compostabile, si trova in uno stato di ossidazione che è zero o superiore mentre nei rifiuti umidi è in uno stato di ossidazione di -2.  
Per fargliela breve: quando la plastica compostabile finisce nel compostaggio non contribuisce alla qualità del compost, anzi va tutta in CO2. Tant'è che la norma En13432 prevede che questi sacchetti diventino CO2 al 90% in sei mesi. Conversione in CO2 vuol dire che c'è una combustione, tant'è che la plastica En13432 nel compostaggio si bioincenerisce e produce CO2. 
E nel frattempo ho un problema di inaridimento del compostaggio, quindi la tendenza a riempire il compostaggio di bioplastica non ha senso, né dal punto di vista economico né per i compostatori. Poi c'è il problema che in molti centri di compostaggio i rifiuti, all'ingresso, passano dal rompi sacchi perché ancora arriva molto umido contenuto in sacchetti non compostabili. Quindi spesso anche i sacchetti compostabili vengono scartati e mandati in discarica. 
Quello che noi diciamo in maniera pacata è che, rispetto a quando è stata fatta la prima legge in merito nel 2006, le cose sono cambiate. A livello sociale, economico, tecnico. C'è il progetto della bioraffineria in Sardegna.  
Ci sono una serie di cose che noi comprendiamo, però diciamo: vediamo di sederci tutti intorno ad un tavolo, di abbassare i toni della polemica per cui da una parte ci sono i paladini del compostaggio e dall'altra ci siamo noi che veniamo dipinti come dei pagliacci o dei furbacchioni che non vedono l'ora di strozzare il delfino nel sacchetto di plastica.
Bisognerebbe riaprire il discorso. Se l'Italia decide che la bioplastica e il suo campione nazionale sono un asset strategico, va benissimo: il Governo può sovvenzionare la ricerca, può chiedere di utilizzare biomateriali di risulta invece che l'amido di mais come gli scarti del mais o la pula di riso.  
Ma che il Governo si muova a spese delle aziende e dei consumatori e improvvisamente dica che un prodotto va bene e tutti gli altri sono da bandire, questo ci vede in profondo disaccordo.
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N.B. sulla questione del bioincenerimento e della combustione della plastica compostabile, commentando un mio post su Google Plus, Francesco Degli Innocenti smentisce le affermazioni di Maestrini: 
Una nota veloce su una questione....La storia che i materiali compostabili "bruciano" nel compost come un "carburante" è "evocativa" ma non ha basi scientifiche. 
Anche la cellulosa "brucia"... Quindi il messaggio implicito è: teniamo la cellulosa lontano dal compost?? Infatti la cellulosa nel test di laboratorio ha una biodegradazione più veloce addirittura delle plastiche compostabili... 
Quindi?? La cellulosa fa male al compost?? No ovviamente. Nessun esperto di compost puo' supportare questa affermazione....Ergo, se questa affermazione non è vera, allora la cosa non è vera neppure per i materiali EN 13432. Il termine "compost" deriva da "composito" che si riferisce alla necessità di mescolare rifiuti di differente natura per raggiungere un giusto equilibrio.
Naturalmente lascio a chimici e fisici la questione, non spetta di certo a me dire chi abbia ragione...
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8) E se il Governo un giorno si svegliasse con l'idea di sovvenzionare la riconversione della filiera nazionale della plastica, voi sareste d’accordo?

Ma, guardi, una parte della filiera della plastica si può sicuramente riconvertire. Ma lo shopper, secondo me, non è stata la scelta migliore. Tutti lo chiamano usa e getta, ma io vado ogni sabato a fare la spesa e non l'ho mai gettato. Prima lo usavo due o tre volte e poi ci mettevo la frazione secca dei rifiuti domestici. 
Ora cosa succede: non c'è più il vecchio shopper tradizionale ma la gente è costretta a comprare i sacchi neri per la spazzatura perché la frazione secca del rifiuto purtroppo non è sparita col decreto. Il sacco nero, però, non viene prodotto in Italia ma in Vietnam in aziende dove si sfrutta la manodopera minorile. Quando va bene è contaminato, ad esempio con cromati di piombo, a volte è addirittura radioattivo perché proviene da scarti ospedalieri. 
Quindi noi cosa abbiamo fatto? Abbiamo dato un calcio nel sedere all'immondo shopper del supermercato e lo abbiamo sostituito con questo sacco nero. La conversione della filiera, ripeto, deve essere una cosa ragionata.Se io sono in spiaggia e mi compro una rivista scarto il cellophane e lo butto nel bidoncino. Poi arriva il vento e il cellophane vola via e finisce nell'ambiente. Perché non farlo biodegradabile con gli additivi?

9) Guardiamo un attimo all'Europa, quali posizioni registrate negli altri paesi sulle plastiche oxobiodegradabili?

In Europa, all'infuori dell'Italia, non c'è nessun paese che abbia delle imposizioni o dei divieti. Ci sono dei paesi che hanno delle incentivazioni, ad esempio nella ex Yugoslavia ha regimi fiscali differenziati per la plastica compostabile, per quella oxobiodegradabile e per quella tradizionale. Una sorta di Eco Tax, con la plastica meno ecocompatibile che paga di più. 
L'unico paese al mondo che ha imposto un divieto, che io sappia, sono gli Emirati Arabi Uniti che hanno vietato tutte le plastiche tranne quelle oxobiodegradabili. Ma noi non vogliamo che venga imposta la plastica oxobiodegradabile in Italia, noi vorremmo un bouquet ragionato in cui vengono offerte delle opzioni sulla base di un dibattito scientificamente sensato e pacato.

10) Vorrei chiederle un parere sui dati di un recente studio dell'ISPO, secondo il quale da quando è entrato in vigore il nuovo decreto sugli shopper compostabili il 60-80% dei consumatori preferisce portarsi il sacco di plastica spessa da casa invece che comprare quello En13432. E lo riutilizza il più possibile...

Che ci siano nuove abitudini più ecocompatibili va benissimo. Però dobbiamo affrontare due problemi importanti che non sono stati risolti dal decreto sugli shopper compostabili.
Il primo è quello del sacco nero: il legislatore deve affrontare questo problema, il sacco nero dovrebbe essere oxobiodegradabile se è destinato alla discarica. 
Il secondo riguarda gli spessori: 100 micron se il sacco non compostabile deve contenere prodotti non alimentari, 200 micron per gli alimenti. Sono le misure imposte dal decreto affinché i sacchi diventino facilmente riutilizzabili. Ma un sacco da 30 micron è più che sufficiente e tranquillamente riutilizzabile: provi a romperlo, ci vuole Hulk. 
In pratica col decreto abbiamo introdotto un consumo eccessivo di materia plastica per tenere fuori dal mercato i sacchetti oxobiodegradabili.

11) O, forse, l'alto spessore è stato imposto per rendere i sacchetti più cari e più sgraditi ai consumatori. Così ci pensano due volte e se lo portano da casa...

Ok, accettiamo questo principio. Allora mi spieghi perché non rendiamo quel sacchetto oxobiodegradabile: se finisce nell'ambiente ci vogliono anni prima che si degradi. E non è che il consumatore disattento o maleducato non lo butta, anche se è spesso 300 micron.
Io noto un atteggiamento di ostilità preconcetta nei confronti degli additivi oxobiodegradabili. 
Che mi fanno pensare, ma magari mi sbaglio, che dietro le scelte fatte non ci siano motivi ambientali ma il timore di un concorrente. Siamo sicuri che vogliamo nell'ambiente, per quanto siano pochi, dei sacchetti così spessi che poi non si biodegradano?  
Quando in realtà abbiamo sotto mano una soluzione economica e valida contro l'accumulo dei rifiuti plastici. A fronte di un esame sereno del Governo, se poi ci dicono che i nostri sacchetti non vanno bene siamo daccordo. 
Ma noi questo esame sereno non lo abbiamo mai visto. Una commissione tecnica, uno studio fatto come si deve... ma dov'è?

Conclusioni

Avrete già capito che la questione è realmente complicata e c'è un doppio scontro in atto: il primo dal lato tecnico-scientifico, su quale tipo di plastica sia più sostenibile, e il secondo sul fronte normativo per regolamentare l'uso dell'una e dell'altra plastica. Favorendolo o limitandolo.

Entrambe le parti hanno a disposizione una mole di studi a loro favore da citare e, probabilmente, ognuno di questi studi avrà anche qualche punto debole...

Quel che mi interessa far notare della questione bioplastiche è che, da quando è uscito il decreto, effettivamente moltissime persone hanno iniziato a portarsi il sacchetto di plastica riutilizzabile da casa. E questo è un primo passo verso l'abolizione della mentalità dell'usa e getta, che ha fatto disastri negli anni scorsi.

Riguardo al discorso di Maestrini, invece, voglio mettere in evidenza alcuni punti che riassumono la posizione di Asso Ecoplast per come mi è stata descritta durante l'intervista:

  1. Asso EcoPlast riconosce che i suoi sacchetti non sono compostabili e non vanno utilizzati nello stesso modo di quelli EN13432
  2. Ritiene che sia sbagliato chiudere le porte ai sacchetti oxobiodegradabili che, al contrario, potrebbero essere utilizzati per altri scopi rispetto al contenimento della spesa. Ad esempio per contenere la frazione secca della raccolta differenziata dei rifiuti
  3. Asso EcoPlast ritiene che sia necessario riaprire il tavolo tecnico sulle bioplastiche, ma partendo dal presupposto che ci può essere spazio sul mercato per entrambi i tipi di imballaggi e sacchetti: sia quelli compostabili EN13432, sia quelli con additivi oxobiodegradabili

1 commenti:

Unknown ha detto...

L’affermazione che i materiali EN 13432 sono dannosi per il compostaggio, perché sono troppo velocemente biodegradabili, non è fondata.
Il termine compostaggio deriva da “composito” e si riferisce al rifiuto di partenza, che deve essere eterogeneo. Occorre una miscela bilanciata, con sostanze con caratteristiche e velocità di biodegradazione differenti. Altrimenti il compostaggio non avviene. I gestori degli impianti di compostaggio lo sanno e applicano questo principio.
La cellulosa è un polimero la cui velocità di biodegradazione puo’ essere vista nella FIGURA 1 di questo studio http://www.assobioplastiche.org/wp-content/uploads/2012/02/biodegradazione-shopper1.pdf.
La cellulosa raggiunge il 90% in 40-50 giorni. Questo risultato è in linea con uno studio pubblicato nel 1998 (Degli Innocenti et al.,1998, Evaluation of the Biodegradation of Starch and Cellulose Under Controlled Composting Conditions. J. of Environ. Polymer Degrad. 6:197-202).
Quindi la cellulosa in un test di compostaggio controllato raggiunge il 90% molto più velocemente del tipico materiale plastico EN 13432 (45 giorni invece che 180). Quindi si “bioincenerisce” in modo fulmineo e, secondo la teoria esposta, dovrebbe pertanto produrre gravi danni al compostaggio e causarne l’inaridimento.
Non esiste però gestore di impianto di compostaggio che rifiuti di accettare la carta che arriva all’impianto. Non credo di aver mai sentito dire che la cellulosa è dannosa per il compostaggio perché si “bioincenerisce” (anche questo mi risulta essere un neologismo).
Quindi, se non è vero che la cellulosa è dannosa per il compostaggio, a maggior ragione non lo sarà un materiale che risponde ai requisiti della EN 13432 perchè più lento.
Spero di essere stato chiaro.
Francesco Degli Innocenti

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